Avv. Michele Musarra
Allorché il pubblico dipendente si trovi sottoposto a procedimento penale, l’amministrazione di appartenenza è chiamata ad esercitare, nell’ambito dell’avviato procedimento disciplinare correlato, il potere/dovere di estromettere temporaneamente il dipendente dall’ufficio.
Siffatta iniziativa è espressione del più ampio potere organizzativo-direttivo, di rilievo costituzionale, assegnato al datore di lavoro pubblico e comporta a carico del dipendente la sospensione dello stipendio e l’erogazione di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio medesimo.
Tuttavia, il provvedimento di sospensione cautelare eventualmente adottato, stante il suo carattere unilaterale, non estingue l’obbligo retributivo, che risulta solo sospeso e sottoposto alla condizione dell’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente da parte del competente organo amministrativo che, all’interno la struttura di appartenenza, detiene il relativo potere.
Nel caso in cui, al termine del giudizio penale, il procedimento disciplinare si concluda con la sanzione del licenziamento o della sospensione, il diritto alla retribuzione viene meno in quanto gli effetti della sanzione inflitta retroagiscono al momento dell’adozione della sospensione. Nel caso in cui, invece, la sanzione disciplinare non venga inflitta per mancata definizione del relativo procedimento ovvero ne sia adottata una che non coincida o giustifichi la sospensione sofferta, nasce l’obbligo in capo al datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni in precedenza non erogate in forza del provvedimento cautelare adottato.
Ovviamente la restituzione è esclusa nel caso e per il periodo in cui il dipendente venga sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere o ai domiciliari: in siffatte ipotesi trovano infatti applicazione i principi civilistici (artt. 1256 e 1463 c.c.) secondo cui al ricorrere di specifiche circostanze che comportino l’assoluta impossibilità di rendere la prestazione lavorativa, si è in presenza di un’autonoma causa di esclusione del diritto alla retribuzione, e ciò a prescindere, nella materia in esame, dall’avvio e dagli esiti del procedimento disciplinare. In presenza, invece, di misure anche restrittive che però non diano luogo alla impossibilità oggettiva ed assoluta del dipendente alla prestazione lavorativa, possono ritenersi applicabili i principi precedentemente enunciati: dovendosi infatti sempre ritenere la sospensione cautelare non una sanzione ma una misura cautelare con i caratteri propri della provvisorietà e della rivedibilità, solo a conclusione del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione obbligatorio facoltativa già applicata resti giustificata oppure debba venire caducata a tutti gli effetti (Cass., Sez. Lav. n. 7675/2019).
Diversamente, a voler ammettere che gli effetti della sospensione – e, in particolare, la correlata perdita della retribuzione – pur in presenza della oggettiva possibilità del dipendente di espletare la propria attività lavorativa possano divenire definitivi a prescindere dall’esito del procedimento disciplinare, si attribuirebbe illegittimamente a tale istituto natura di sanzione automatica, indipendente dall’accertamento della responsabilità disciplinare per il fatto commesso.
Possiamo pertanto concludere affermando che in caso di sospensione cautelare conseguente all’applicazione nei confronti del dipendente di custodia cautelare in carcere o domiciliare, è l’impossibilità oggettiva e temporanea del dipendente ad adempiere alla prestazione di lavoro a determinare la sospensione dell’obbligo retributivo del datore di lavoro ex artt. 1256 e 1463 c.c., con esclusione di restitutio in integrum in relazione al doveroso rapporto di corrispettività tra le prestazioni, a prescindere dagli esiti della vicenda disciplinare. Al contrario, in presenza di oggettiva possibilità di svolgere la prestazione lavorativa, la sospensione (obbligatoria o facoltativa), avendo sempre natura cautelare, provvisoria e rivedibile, resta giustificata esclusivamente in base al successivo eventuale esito coerente del procedimento disciplinare portato a termine anche dopo la conclusione di quello penale.
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