Avv. Michele Musarra
La rimborsabilità di cure eseguite in strutture private non convenzionate
Sulla annosa questione concernente la rimborsabilità delle prestazioni sanitarie indirette, effettuate cioè fuori dal sistema di convezionamento, già oggetto di contrastanti pronunce di merito, è intervenuta di recente la Suprema Corte che, con sentenza n. 20128 del 13 luglio 2023, ha ribadito la necessità di riconoscere il diritto soggettivo al rimborso in presenza di determinate condizioni.
Ai fini della puntuale comprensione della fattispecie, occorre premettere che ai sensi dell’art. 1 del D. Lgs. 30.12.1992 n. 502 recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992 n. 421”, la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività “è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale” (art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 502/92) che assicura, attraverso le risorse pubbliche, “i livelli essenziali e uniformi di assistenza … nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze” (art. 1, c. 2). La disposizione in esame afferma poi che “sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate” (art. 1, c. 7).
Nel caso di recente deciso dalla Suprema Corte, una struttura sanitaria, non convenzionata con il S.S.N., ha accettato di prendere in cura un paziente in situazione di urgenza, chiedendo successivamente alla competente A.S.L. l’autorizzazione al ricovero, previa verifica dei presupposti per l’erogazione del servizio o, in alternativa, l’indicazione di una struttura convenzionata. Non avendo ottenuto alcun riscontro dal competente soggetto pubblico locale, la struttura privata ha mantenuto il paziente offrendogli tutte le cure necessarie ed emettendo successivamente la correlata fattura di pagamento. La A.S.L. ha negato il rimborso delle spese mediche, opponendo l’assenza di qualsivoglia rapporto di convenzionamento o contrattuale con la struttura privata, tesi accolta, in sede giudiziale, sia dal Giudice di Pace che, in secondo grado, dal Tribunale competente.
La Suprema Corte è invece pervenuta a conclusione difformi.
Dopo aver ricordato precedente arresti di legittimità secondo cui il diritto all’assistenza, “se dà accesso alle cure in strutture pubbliche o convenzionate, richiede, invece, apposito preventivo ed espresso provvedimento autorizzatorio del trattamento in struttura da queste diverse, a meno che non ricorra l’ulteriore requisito dell’urgenza, in presenza del quale il diritto alla salute non deve subire pericolosi ritardi” (Cass., n. 9319/2010; analogamente, SS.UU. n. 117/99 e 68/00), la Corte ha evidenziato che la Corte Costituzionale, dichiarando la illegittimità dell’art. 7, c. 2, della legge della Regione Lombardia 15.1.1975 n. 5, ha statuito, tra l’altro, che “l’esclusione assoluta e indifferenziata di ogni ristoro delle spese sostenute in tutti i casi nei quali l’assistito non abbia preventivamente richiesto l’autorizzazione per accedere all’assistenza indiretta senza alcuna deroga neppure per le ipotesi in cui ricorrano particolari condizioni di indispensabilità, gravità e urgenza non altrimenti sopperibili non assicura l’effettiva tutela della salute e vulnera l’art. 32 della Costituzione, ponendosi altresì in contrasto con l’art. 3 della Costituzione perché realizza una soluzione intrinsecamente non ragionevole” (Corte Cost. n. 509/2000).
Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha quindi affermato il principio secondo cui ogni volta che “la cura sia necessaria ed urgente, essa è a carico del sistema pubblico, e non rileva che sia stata effettuata in una struttura convenzionata o meno, e non rileva che sia stata autorizzata dalla A.S.L. secondo una qualche procedura. È rimborsabile in quanto, se non lo fosse, il relativo onere sarebbe a carico del paziente e se costui non avesse le risorse, la salute sarebbe compromessa”, precisando che, in dette fattispecie, è comunque sempre il cittadino ad avere diritto al rimborso della cura che, comunque effettuata (anche senza convenzionamento né preventiva autorizzazione), essendo per la sua salute necessaria e indifferibile, va a lui rimborsata e non alla struttura in cui è stata praticata.
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